Forlì (Italia)

 


Forlì è un comune italiano di 116 509 abitanti, capoluogo della provincia di Forlì-Cesena in Romagna. È sede vescovile della diocesi di Forlì-Bertinoro.

È stata, fin dall'inizio del Regno d'Italia, capoluogo della provincia di Forlì; dopo il distacco da questa del comprensorio di Rimini, divenuto provincia autonoma nel 1992, il territorio rimanente ha preso la nuova denominazione di provincia di Forlì-Cesena.

La città, fondata secondo la tradizione nel 188 a.C., nel 2012-2013 ha festeggiato i suoi 22 secoli di vita. Lo storico Sigismondo Marchesi, comunque, retrodata la fondazione al 208 a.C.

Numerose sono le chiese, sia nel centro cittadino che all'interno del suo comune, che sono scomparse nel corso dei secoli. La scomparsa di tali edifici religiosi ha molteplici motivazioni, le principali rintracciabili nelle devastazioni causate da guerre a seguito delle quali non è stata approntata alcuna riedificazione, nonché nella soppressione di ordini religiosi o nel riutilizzo degli edifici ad uso diverso da quello religioso. Tra queste la chiesa di San Tommaso di Canterbury, scomparsa in tempi antichi, già nei pressi dell'attuale corso Garibaldi. La parrocchia del Duomo prende il nome di San Tommaso Cantauriense benché la cattedrale sia dedicata alla Santa Croce.

Nel Novecento, larga parte dell'architettura forlivese è stata segnata dagli interventi del fascismo. Per questo, la città partecipa, come capofila, al progetto europeo "ATRIUM", che ha "come obiettivo principale quello di indagare e gestire il patrimonio architettonico, archivistico ed immateriale dei regimi del ‘900, per la costruzione di un itinerario culturale transazionale, con l'obiettivo di ottenere il riconoscimento di “Rotta Culturale europea".

Come in numerose altre città italiane, a Forlì le mura cittadine furono quasi totalmente rase al suolo all'inizio del '900 per poter liberare nuovi spazi da dedicare all'edilizia e permettere lo sviluppo della città al di fuori dell'antico nucleo cittadino. La demolizione delle mura fu quasi totale, e solo alcuni tratti dell'antica cinta muraria tuttora sopravvivono. Lo spazio liberato ha fornito la superficie per l'edificazione di tratti stradali che oggi costituiscono i viali di circonvallazione.

Sebbene non ne sia rimasta traccia, è ovvio pensare che la Forlì dell'epoca romana fosse cinta da una cerchia difensiva e che fosse possibile accedere all'interno della città attraverso specifiche porte o quantomeno attraverso valichi sorvegliati. Non è possibile indagare sia l'evoluzione che la struttura della primitiva cerchia difensiva, così come non è possibile identificare il sistema difensivo nell'alto medioevo, se non ipotizzare, tramite i toponimi locali sopravvissuti, il percorso delle mura e la localizzazione delle porte medievali. Per citare un esempio, la tradizione tramanda il nome di porta Merlonia, vivente nel nome della via che da essa prese il nome, probabile porta della cerchia muraria altomedievale. È comunque necessario precisare che, con il passare delle epoche e a seconda delle esigenze del momento, era abbastanza comune aprire nuove porte e chiuderne altre, a seconda delle necessità. Così facendo di molte porte si è perso il ricordo, di altre rimane il toponimo e solo delle più importanti e delle più fortunate permane il nome, la descrizione o la struttura.

Secondo la Descriptio Romandiolae del cardinale Anglico de Grimoard nella città di Forlì sunt quatuor porte magistre, que custodiuntur: Ravaldini, Cudignorum, San Petri, Clavanie... Ma nella toponomastica antica di Forlì si comprendevano i nomi di altre porte che Francesco Ordelaffi fece abbattere o rinforzare: Porta MerloniaPorta San Biagio (poi chiamata Santa Chiara e chiusa nel 1356 da Francesco Ordelaffi) e Porta della Rotta, tutte queste facenti parte dell'antico circuito difensivo romano. In epoca alto-medievale, con l'ampliamento della cinta muraria, vennero aperte nuove porte. Vengono tramandati i nomi di Porta LiviensePorta di Santa Croce e Porta San Mercuriale.

Le porte che si aprivano ad occidente del ponte dei Morattini, in direzione Faenza, erano due: Porta Liviense (detta anche Valeriana), che sorgeva in fondo a via dei Battuti Verdi e attraverso la quale passava l'antica via Consolare, e Porta Schiavonia. La prima venne chiusa da Francesco Ordelaffi nel 1356 durante l'assedio dell'Albornoz e, in tale occasione, venne anche abbattuto il ponte che varcava il fiume Montone. Né la porta né il ponte furono mai più riaperti, così l'antico percorso della strada consolare fu dirottato in direzione di Porta Schiavonia.

Le porte più importanti, che hanno segnato la storia della città e sono legate alla cinta muraria eretta tra la metà del XV secolo e gli inizi del XVI sono quattro: Porta SchiavoniaPorta San PietroPorta Cotogni e Porta Ravaldino. Di queste, solo Porta Schiavonia è arrivata ai nostri giorni.

Collocata sulla strada per Ravenna, sorgeva in fondo all'attuale Corso Giuseppe Mazzini, un tempo chiamato Borgo San Pietro. Presentava una vera e propria rocca fortificata e in questa furono tenuti prigionieri Caterina Sforza e i suoi figli dai congiurati che avevano assassinato Girolamo Riario.

La porta Cotogni si apriva su uno dei contrafforti delle mura e la rocca, posta al suo fianco, rafforzava la sorveglianza sulla porta. La rocchetta, di cui si ignora la data di costruzione, era il baluardo del lato settentrionale della città e già nel XIV secolo la porta si ergeva con il nome derivante dalla vicina chiesa di San Pietro in Scottis, oggi scomparsa. Nel 1360 la porta fu parzialmente demolita dall'arrivo dell'Albornoz, mentre rimaneva attiva la rocchetta che ospitò Caterina Sforza nel 1488 dopo l'uccisione di Riario ordita dalla famiglia Orselli. Ulteriormente atterrata poi nel 1741, rimase intatto solo il mastio della rocchetta. Si sa che nel 1764 la porta vera e propria era murata e l'ingresso avveniva direttamente attraverso un'apertura effettuata nella rocca che fungeva da porta civica. Nel 1862 gli ultimi avanzi della porta e la rocchetta furono demoliti per far posto alla nuova porta urbana, definita Barriera Mazzini, che l'ingegnere Callimaco Missirini, costruitala a spese del comune, disegnò in forme neoclassiche e che fu aperta al transito il 5 giugno 1864. Venne utilizzata come sala d'attesa per la tramvia che univa Ravenna a Meldola e, dal 1901, fu usata come ufficio postale. Questa porta fu completamente rasa al suolo nel primo bombardamento aereo subito dalla città nella seconda guerra mondiale il 19 maggio 1944 e non venne più ricostruita.

È importante notare come in tempi più antichi l'uscita in direzione di Ravenna avveniva tramite la Porta di Santa Chiara, di cui oggi rimane solo un piazzale ad essa dedicato.

La porta sorgeva su quella che era chiamata Strada petrosa - poi Borgo Cotogni, più recentemente Corso Vittorio Emanuele e attualmente Corso della Repubblica - ed era a sorveglianza della strada in direzione di Cesena. Fino ai primi anni del XX secolo ospitava la porta daziaria, per poi essere sostituita, durante il Ventennio, dagli edifici gemelli Bazzani e Benini.

Le cronache ricordano come spesso le parate e i solenni ingressi in città avvenivano per porta Cotogni; fra questi l'ingresso di Giulio II e dei Riario. Fino al 1825 presso la porta era collocato il busto del cardinale Stefano Augustini, ora collocato presso la pinacoteca.

La Barriera e gli annessi fabbricati vennero costruiti su disegno dell'architetto Giacomo Santarelli nel 1825, in seguito alla demolizione dell'antica Porta Cotogni, ed assunse il nome di Barriera Vittorio Emanuele con funzione di porta daziaria.

Nel 1906, con l'avvio degli scavi per la costruzione degli impianti dell'acquedotto, vennero scoperti i resti e le fondamenta del torrione e delle aree vicine fortificate.

Ai tempi del forum romano, la piazza Aurelio Saffi era solo un largo spazio ai confini della centuriazione, lungo la via Emilia verso Rimini.

Diventa, come è tutt'oggi, luogo centrale della città nel Medioevo, con il nome di Campo dell'Abate (il riferimento è all'abbazia di San Mercuriale) e poi di piazza Maggiore.

Dopo l'unificazione d'Italia, viene dedicata a Vittorio Emanuele II e di seguito ad Aurelio Saffi, sostituendo la colonna della Madonna (spostata presso il duomo) con un monumento dedicato a Saffi. Al termine della seconda guerra mondiale, durante la permanenza delle truppe anglo-americane a Forlì (successiva alla liberazione della città dai nazi-fascisti), la piazza è ribattezzata St. Andrew's Square ("piazza di S. Andrea"). Con il ritorno alla normalità, i danni della guerra furono risanati e fu ripristinato il monumento a Saffi andato distrutto durante i bombardamenti.

Il risultato è una piazza che Antonio Paolucci ha definito "uno scenario metafisico alla Giorgio de Chirico".

Corso della Repubblica, forse la principale strada moderna della città, costituisce il ramo della via Emilia verso est interno al centro storico. È la spina dorsale del rione chiamato tradizionalmente "Borgo Cotogni". Appare come un lungo rettilineo di aspetto moderno, al termine del quale si scorge l'obelisco del monumento ai caduti di piazzale della Vittoria. Negli anni 30 si chiamava corso Vittorio Emanuele.

Proseguendo per corso della Repubblica da piazza Aurelio Saffi si arriva al piazzale della Vittoria, che funge sia da grande rotatoria sia da svincolo tra Corso della Repubblica, Viale Roma, Via Corridoni, Viale Matteotti e Viale della Libertà. Al centro emerge su un'alta colonna il monumento ai caduti, costruito nel 1932. Sul piazzale si affaccia il palazzo dell'ex collegio aeronautico, in stile razionalista, ora adibito a scuole. Ai due lati dell'imbocco di corso della Repubblica vi sono le Palazzine gemelle, costruite nel 1933. Vi si affaccia anche la facoltà di economia dell'Università di Bologna e l'istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. Dal piazzale inoltre, si accede all'ingresso monumentale del parco della Resistenza.

Proseguendo dal piazzale della Vittoria verso la stazione ferroviaria si attraversa il viale della Libertà. Con una larghezza di quaranta metri e l'orientamento perpendicolare alla Via Emilia, presenta una nutrita rappresentanza di edifici che costituiscono importanti esempi dei vari stili architettonici del Ventennio.

Prima dell'abbattimento della cinta muraria una consistente area a ridosso delle mura formava un anello, interno le mura stesse, quasi completo a 360°, di verde pubblico destinato alla coltivazione. Questi orti, presenti nel medioevo, dovevano fornire l'area necessaria per essere coltivati e quindi produrre il sostentamento necessario in caso di eventuale assedio della città. Quest'area verde per la città si è sempre mantenuta fino all'inizio del novecento quando, decidendo di ampliare città oltre le mura, cominciarono ad essere edificate. Oggi di questi orti rimangono solo pochi tratti.

La città infatti è attrezzata di molte zone verdi e parchi che arrivano a un'estensione totale di 300 ettari.

Sul territorio comunale sono tuttora presenti molte vecchie piante di gelso, ultimi testimoni di un periodo in cui questo tipo di albero era molto diffuso. Le sue foglie fatte venivano raccolte utilizzate per nutrire i bachi, il cui allevamento era fiorente ed alimentava la solida industria della seta.

Alcune strade cittadine ed altre extraurbane sono poi caratterizzate ai lati da filari di alberi, come quelle della via lughese (la strada che conduce a Lugo) e la via cervese (la strada che conduce a Cervia), anche se da anni tale alberatura e messe in discussione per motivi di sicurezza stradale.

In base alla legge regionale 2 / 1977 sono stati individuati anche alcuni alberi monumentali di pregio, tra cui una roverella di oltre duecento anni, 3 pioppi neri di oltre 130 anni ed un platano orientale di oltre 170 anni di età. Quest'ultimo è in realtà l'albero più noto, ammirato e conosciuto ed è ricordato come l'albero di Giosuè Carducci. Dagli alberi degni di nota possono essere ricordate anche 2 piante da frutto: un giuggiolo secolare ed una pianta di albicocco di sessant'anni.

Vi sono poi 3 relitti boschivi di notevole importanza naturalistica presente nel territorio comunale. Il più importante è la Selva di Ladino, di proprietà del Comune, e considerata la superstite della Selva Litana. L'integrità di tale bosco è comunque minata dalla strada provinciale (via del partigiano) che la taglia in 2. La Selva di Ladino è un'area boschiva di circa 5 ettari con reverenza di roverelle, il cui ultimo taglio risale al 1946, di altezza media di oltre 15 metri. La Selva di Ladino si fonda con la vegetazione spontanea del vicino fiume Montone, costituendo un sito naturalistico botanico di notevole importanza e riconosciuto come Sito di Importanza Comunitaria (S.I.C.).

Vi è un altro piccolo bosco che si trova nella frazione di Ravaldino in Monte più giovane di quello di Ladino.

Un 3º sito boschivo è un querceto che si trova a Farazzano, al confine con il territorio di Meldola che possiede cerri di circa 80 anni di età.

Un parco di notevole interesse naturalistico è l'oasi di protezione di Magliano, istituita nel 1984 dall'amministrazione provinciale per la salvaguardia dell'avifauna acquatica. Quest'area si estende per 680 ettari ed è compresa tra i comuni di Forlì, Forlimpopoli e Bertinoro.

Uno spazio verde poco conosciuto è quello che si trova sulle sponde del fiume Ronco e che viene chiamato Ronco lido. Ai primi dell'Ottocento i forlivesi, che non avevano in mare vicino, pensarono di utilizzare le sponde del fiume quale surrogato del mare. Vennero così costruiti sulla sponda del fiume un'area balneabile costituito da una piccola spiaggia, una strada i piccoli stabilimenti balneari.

Inoltre Forlì ospita numerosi musei e palazzi storici in tutto il suo territorio.


Voto alla città:7
Anno della foto:2022

Loughrea (Irlanda)

 


Loughrea è una cittadina nella contea di Galway, in Irlanda, poco distante da Galway. 
La cittadina è famosa per la Cattedrale di San Bernardo, ovvero la cattedrale cattolica di Loughrea, una delle Cattedrali più famose in Irlanda, e sede della diocesi di Clonfert. La cattedrale si trova sulla riva settentrionale del lago Grey, che dà il nome alla città. La prima pietra della cattedrale è stata posta il 10 ottobre del 1897, i lavori si sono conclusi nel 1902.

Voto alla città:6
Anno della foto:2022

Kuala Lumpur (Malaysia)

 


Kuala Lumpur è la più grande città della Malaysia e la capitale della Federazione. All'interno della Malaysia il nome viene spesso abbreviato in KL. Gli uffici del Governo sono stati spostati a Putrajaya, ma la residenza del capo dello Stato (Yang di-Pertuan Agong), il Parlamento e il potere giudiziario hanno tutti sede a Kuala Lumpur.

Kuala Lumpur è uno dei tre Territori Federali della Malaysia e un'enclave nello Stato di Selangor. La città è una meta del turismo mondiale, e al 2019 era la 6ª città più visitata del mondo.

L'aeroporto principale del paese è l'Aeroporto di Kuala Lumpur o (KLIA).

La città vanta numerose moschee, compresa la Moschea Nazionale della Malesiamusei e siti di importanza internazionale tra i quali meritano menzione il Museo Nazionale della Malesia, il Museo d'arte islamica e anche la Galleria d'arte nazionale della Malesia.


Voto alla città:7
Anno della foto:2022

Ercolano (Italia)

 


Ercolano è un comune italiano di 50 032 abitanti della città metropolitana di Napoli in Campania.

Ercolano è famosa nel mondo per gli scavi archeologici della città romana fondata, secondo la leggenda, da Ercole e distrutta dall'eruzione del Vesuvio del 79; insieme a quelli di Pompei e Oplontis, fanno parte dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Il tratto del Corso Resina che dagli Scavi archeologici arriva fino a Torre del Greco è chiamato Miglio d'oro per le ville vesuviane del XVIII secolo allineate ai suoi lati.

Da Ercolano parte la strada che conduce al Gran Cono del Vesuvio per la visita al cratere.

Ercolano ospita numerose architetture religiose, prima tra queste la Basilica di Santa Maria a Pugliano, sita nell'omonima piazza, è la principale chiesa di Ercolano nonché la più antica della città e dell'intera area vesuviana. È di notevole pregio storico e artistico ed è basilica pontificia dal 1574.

Il corso principale della città che collega Ercolano a Napoli, nel tratto che va dagli Scavi di Ercolano al confine con Torre del Greco, è anche denominato Miglio d'Oro, per la presenza di alcune tra le più belle e sfarzose ville vesuviane del XVIII secolo, costruite o abbellite da famosi architetti come Luigi Vanvitelli o Ferdinando Fuga. Tra le più fastose vi sono Villa Aprile (oggi sede del lussuoso Miglio d'Oro Park Hotel), Villa FavoritaVilla Campolieto e Villa Ruggiero, sedi di eventi culturali, spettacoli e concerti. Villa Campolieto, Villa Ruggiero e il Parco sul mare della Villa Favorita, di proprietà della Fondazione Ente per le Ville Vesuviane, sono aperte al pubblico. All'interno di Villa Ruggiero è anche ospitata la biblioteca civica, intitolata a Giovanni Buonajuto.

Nel 1997 l'area del Miglio d'Oro, insieme al complesso Somma-Vesuvio, è stata inserita nella rete mondiale di riserve della biosfera nell'ambito del programma UNESCO MAB (Man and Biosphere).

Negli ultimi anni la definizione precisa di Miglio d'Oro è sfumata, in quanto per finalità di promozione turistica e di sviluppo territoriale dei paesi vicini, il concetto di Miglio d'Oro è stato erroneamente esteso anche ai comuni di Portici e di San Giorgio a Cremano. Sul territorio dei quattro Comuni cosiddetti "del Miglio d'Oro", oltre che su quello dei quartieri napoletani di Barra e San Giovanni a Teduccio, insistono le 121 ville vesuviane del XVIII secolo censite dall'Ente Ville Vesuviane.

Il Museo archeologico virtuale, sito in via IV Novembre ed allestito nella struttura dell'ex mercato comunale di inizio Novecento, arricchisce la visita agli Scavi archeologici con originali esposizioni sull'antica città romana, gli usi, i costumi, le tradizioni e la tragica eruzione del 79 d.C.

Gli scavi archeologici di Ercolano sono meta fissa di circa 350.000 turisti l'anno: nel 2014 hanno registrato 351.068 presenze, risultando il quattordicesimo monumento più visitato d'Italia, con un introito lordo totale di 1.870.809,50 Euro. Nel 2022 sono stati 436.855 i visitatori che hanno varcato la soglia d'ingresso del sito.

Da pochi anni è stato realizzato un nuovo accesso agli scavi, con un'ampia zona adiacente che comprende un parcheggio a raso, un'area con punti ristoro e vendita di souvenirs. Oltre all'area archeologica, in alcune occasioni, è visitabile il "Padiglione della barca", nel quale è custodita un'imbarcazione d'epoca romana riportata alla luce nel 1982 sull'antico litorale della città.

Da corso Resina è possibile discendere al Teatro romano di Ercolano; l'accesso è consentito per finalità scientifiche e di studio, previa autorizzazione della Direzione degli Scavi di Ercolano, e dal 2022, in via sperimentale, per visite guidate in un affascinante percorso sotterraneo.

Ercolano è uno dei tredici comuni ricadenti nell'area del Parco nazionale del Vesuvio, uno dei più piccoli d'Italia. La via di accesso al cratere sale da via San Vito o da via Vesuvio e prosegue per via Osservatorio (12 km dal centro di Ercolano).

Nel 1997 il complesso vulcanico Somma-Vesuvio è stato inserito, insieme all'area del Miglio d'Oro, nella rete mondiale di riserve della biosfera nell'ambito del programma MAB dell'Unesco.

Lungo la strada è situata la mostra permanente all'aperto "Creator Vesevo", che raccoglie dieci sculture in pietra lavica realizzate da altrettanti artisti europei.

Sono visitabili anche i sentieri del Parco nazionale del Vesuvio e il museo dell'Osservatorio Vesuviano.

Il mercato di Pugliano, anche noto come mercato di Resina (dal vecchio nome della città) si teneva lungo via Pugliano ed era specializzato nella vendita di abiti usati (localmente chiamati pezze), vintage, pellami e accessori di abbigliamento. Nacque all'indomani dell'arrivo delle truppe alleate a Napoli come spaccio di divise militari lasciate dagli americani.

Fiorì a partire dagli anni '60 del secolo scorso con la vendita di vestiti usati, esposti direttamente sul suolo dopo aver aperto le balle nelle quali erano stipati. Trattandosi di abiti usati, non era raro trovare all'interno delle tasche di cappotti e pantaloni oggetti appartenenti ai vecchi proprietari, come orologi o monete: per questo motivo, all'apertura delle balle, le bancarelle venivano letteralmente prese d'assalto al fine di trovare abiti che contenessero piccoli tesori.

Dato il posizionamento lungo la strada principale del centro antico, perse notorietà dopo il terremoto del 1980 che causò ingenti danni agli edifici cittadini. Dopo numerosi interventi ha tuttavia riacquistato popolarità, soprattutto per il ritorno di moda degli abiti vintage: non è infatti raro trovarvi capi originali d'epoca. Proprio per questa caratteristica è stato anche utilizzato da registi di cinema e teatro per l'acquisto di abiti di scena. Non mancano iniziative per rendere vivace il rione e rilanciare il mercato, come ad esempio l'organizzazione di "notti bianche".

A questo mercato è dedicata una puntata della serie "Diario di un cronista" di Sergio Zavoli del 1963, dal titolo "La tratta degli stracci".

L'approdo della Favorita è parte del complesso monumentale della Real Villa della Favorita, del quale costituiva l'accesso al mare. Ancora oggi rappresenta l'unico approdo marittimo della città, utilizzato dal 2001 al 2011 come fermata del servizio di collegamento marittimo Metrò del Mare. Non offre attualmente alcun tipo di servizio e assistenza di ormeggio.


Voto alla città:7
Anno della foto:2010

Torre Del Greco (Italia)

 


Torre del Greco è un comune italiano di 80 086 abitanti della città metropolitana di Napoli in Campania. La città è situata nelle immediate vicinanze del parco nazionale del Vesuvio, tra il Vesuvio e il golfo di Napoli.
Le chiese di Torre del Greco furono spesso riedificate su edifici più antichi, distrutti nel corso dei secoli dalle eruzioni laviche del Vesuvio.
L'area di maggior interesse archeologico, risalente al I secolo d.C., è la "contrada Sora", caratterizzata da resti della Villa Sora, probabilmente posseduta dalla famiglia Flavia. Annesso alla villa, vi è un complesso termale, ora praticamente sulla spiaggia torrese. L'attenzione sul sito fu posta alla luce dal Gruppo Archeologico Torrese "G. Novi". Fu redatta anche una pubblicazione in merito dal titolo "Reportage archeologico a Villa Sora". L'attenzione messa in essere dal G.A.T. coinvolse anche l'allora direttore degli Scavi di Ercolano, e grazie alla Banca di Credito Popolare e ad un contributo dell'Amministrazione Comunale fu possibile effettuare uno scavo. Oggi, ciò che è possibile osservare in contrada Sora è frutto di quell'attività di ricerca.
In zona "Colle dei Camaldoli" esistono i ruderi di una villa rustica e in "contrada Calastro" altre presenze archeologiche testimoniano l'esistenza di un suburbio cittadino. Tutto ciò fu sempre catalogato e ritrovato grazie all'attività di campo del Gruppo Archeologico Torrese, che, tra le altre cose, rinvenne anche dei ruderi in Contrada Scappi. Mentre in zona porto si può trovare la famosa Fontana dalle Cento Cannelle (o Cento Fontane).
La città ospita due musei dedicati al corallo: uno storico all'interno dell'Istituto statale d'arte "Francesco Degni" e l'altro più piccolo e privato, con la collezione Liverino. Dal 2006 presso la Pro Loco è visitabile un piccolo Museo Del Gioco e del Giocattolo d'epoca. Dal 2010 la sezione locale della Lega navale italiana ha insediato il Museo della Marineria nei pressi della zona porto, più precisamente nei locali della stazione ferroviaria F.S.

Voto alla città:6
Anno della foto:2010

Terrasini (Italia)

 


Terrasini è un comune italiano di 12 902 abitanti della città metropolitana di Palermo in Sicilia.

Situato nei pressi dell'aeroporto Falcone-Borsellino, si affaccia sul Golfo di Castellammare.

Importante centro turistico e culturale della città metropolitana di Palermo è noto per la sua costa e per le sue spiagge, ma anche per la sua piazza dominata dal Duomo, una delle chiese più grandi del territorio e per il suo museo del carretto siciliano, palazzo d'Aumale.

Terrasini è infine soprannominata la "città dell'amore" grazie alle numerosi installazioni che inneggiano a questo sentimento e all'atmosfera che la circonda.

Il centro della città di Terrasini è piazza Duomo, ampia e di forma rettangolare, che si allarga verso il duomo, circondata da imponenti palazzi storici risalenti al XVII e XVIII secolo.

La piazza, lastricata con pregiato basolato di marmo siciliano, marmo di Custonaci, misura 110 metri di lunghezza per 35 metri di larghezza, il che la rende una delle piazze urbane più grandi del territorio e un punto di riferimento per tutti i cittadini, sempre in piazza sono presenti numerosi locali caratteristici nei quali è possibile mangiare il cibo locale e siciliano.

A dominare la piazza vi è il duomo. Accanto alla piazza è presente la villa di san Giuseppe, caratteristico polmone verde della città situato tra il duomo di Terrasini e un edificio settecentesco: al centro della villa è presente una fontana dalla caratteristica del tutto unica in Italia, giacché presenta al centro un rubinetto che attraverso un potente getto d'acqua dà l'impressione di levitare.

Il monumento più importante della città di Terrasini è la Chiesa di Maria Santissima delle Grazie.

La sua costruzione risale al Settecento: in quel periodo era ancora accesa la rivalità tra Terrasini e Cinisi. Un nobile di Terrasini decise insieme ai cittadini di costruire un'imponente chiesa che fosse più grande non solo di quella di Cinisi, ma anche di tutte altre chiese presenti nei centri limitrofi.

La chiesa richiese oltre venti anni di costruzione: i cittadini di Cinisi cercarono in ogni modo di ostacolarne la costruzione, alla fine intorno alla prima metà del Settecento la chiesa fu completata, in puro stile barocco.

Il duomo presenta un'imponente facciata barocca con otto colonne, quattro doriche e quattro corinzie; al centro della facciata è presente la statua di Maria Santissima delle Grazie, mentre ai lati si ergono le due statue dei Santi Pietro e San Giuseppe. Un altro elemento caratteristico della chiesa sono le due vertiginose torri, alte circa 30 metri, su cui sono installati due orologi. L'interno è invece costruito in pregiato marmo bianco scolpito da maestri siciliani, sono presenti numerosi affreschi dipinti da artisti locali.

Il palazzo Cataldi, sede della Biblioteca Comunale "Claudio Catalfio", in via Benedetto Saputo,è un edificio costruito dalla famiglia La Grua come residenza estiva, l'edificio è stile barocco ed è sormontato dallo stemma della famiglia La Grua nella parte superiore dell'edificio.

Ad oggi il palazzo Cataldi è sede della Biblioteca Comunale e raccoglie svariate collezioni di libri.

Al centro di Piazza Falcone e Borsellino in posizione antistante il municipio, si trova il Monumento ai Caduti, dono dei Terrasinesi residenti a Detroit, raffigurante un cippo quadrangolare in marmo che reca incisi i nomi dei terrasinesi caduti nelle due grandi guerre del secolo scorso. Il cippo è sormontato da una figura alata, probabilmente una sorta di Nike, dea della vittoria, con in mano una corona d'alloro.

Di fronte il monumenti ai caduti si innalza palazzo La Grua sede del municipio, il palazzo La Grua fu costruito dalla famiglia la Grua nel settecento; il palazzo ha perso totalmente la sua struttura settecentesca a causa di un restauro degli anni 1970, tuttavia sono state proposte diverse ipotesi di recupero per portarlo alla sua forma originale.

Il palazzo d'Aumale dal 1984 è sede del museo civico, il museo nacque dall'unione del Museo storico-etnografico del carretto siciliano "S. Ventimiglia" che era stato fondato nel 1973 grazie all'impegno del professore Salvatore Ventimiglia con il Museo civico di storia naturale che era stato aperto nel 1981.

Il museo è composto da tre diverse aree tematiche, quella etnografica, quella naturalistica e quella archeologica. In origine il museo conservava, oltre alla collezione etnografica di Salvatore Ventimiglia, da collezioni naturalistiche quali la collezione ornitologica Sommariva, la collezione di mammiferi Orlando, entrambe donate al Comune, e dalla raccolta ornitologica di proprietà Orlando.

Nelle verdi periferie, tra macchie di uliveti, limoneti ed aranceti, si trovano alcuni edifici degni di menzione. Prima fra tutti, Villa Fassini, in stile liberty attribuito al grande architetto Ernesto Basile. La villa, appartenuta alla potente famiglia siciliana dei Florio, è stata anche luogo di ritrovo, negli anni '70, di una nutrita ed importante comunità hippy, formata da giovani provenienti da tutta Italia ed anche dall'Europa.

Inoltre, in contrada Bagliuso, si trovano il seicentesco castello di Gazzara, appartenuto alla potente baronia locale e la caratteristica senia, strumento impiegato per l'irrigazione agricola sin dal periodo arabo, espressione della locale cultura contadina.

Il manufatto più antico esistente nel territorio comunale di Terrasini è la Torre di Capo Rama che domina l'omonimo promontorio, ricadente in zona A della Riserva Naturale Orientata Capo Rama. La torre venne costruita nel XV secolo per avvistare le imbarcazioni pirata e segnalarne la presenza attraverso i fari e risulta inserita in tutti gli elenchi ufficiali delle torri che costituivano il complesso ed articolato sistema di avvistamento costiero. La torre di Capo Rama faceva parte delle 11 torri controllate dal Senato della Città di Palermo, di cui rappresentava anche la più occidentale.

Le antiche e maestose torri d'avvistamento (Torre Alba, Torre di Capo Rama, Torre Toleda o Torre Paternella, Torre di contrada San Cataldo), servivano ad avvertire in tempo la popolazione del villaggio degli attacchi dei temibili pirati o dei ancor più temuti Saraceni. Il sistema di avvistamento, ingegnoso, prevedeva la collocazione di una torre di avvistamento ad ogni promontorio strategico del territorio, mantenendo sempre la comunicazione visiva fra una torre e l'altra, in modo tale che, in caso di emergenza, le segnalazioni luminose da una torre all'altra si trasmettessero molto velocemente in tutto il territorio.

La costa di Terrasini, che si estende dalla spiaggia della Ciucca fino a quella di San Cataldo, è di tipo misto, alternando calette pietrose ad alti e scoscesi dirupi sul mare. Nei pressi di Terrasini è situata la Riserva naturale orientata Capo Rama, istituita dalla Regione Siciliana nel giugno 2000 ed affidata in gestione al WWF Italia.

L'area del promontorio era stata già individuata nel 1968, dal Comune di Terrasini, come «biotopo di inestimabile valore». Il promontorio di Capo Rama è stato inserito nell'esclusivo elenco dei geositi italiani, località di rilevante interesse geologico di alto valore naturalistico. Dal punto di vista faunistico, l'area di Capo Rama ospita la fauna tipica delle coste rocciose. La Riserva si trova lungo le rotte migratorie e durante i periodici spostamenti alcune specie sostano indisturbate sulla scogliera: in primavera prima di raggiungere le aree di nidificazione ed in autunno quando tornano nelle zone di svernamento. Si possono avvistare molte specie di rettili, la presenza di gabbiani reali (Larus michahellis), rondoni maggiori (Apus apus), cappellacce (Galerida cristata) ed anche di gheppi (Falco tinnunculus).

Le grotte ospitano alcune colonie di pipistrelli, ma sono presenti anche volpi (Vulpes vulpes) e conigli (Oryctolagus cuniculus). Per quanto riguarda la flora vi è una vegetazione arbustiva e discontinua, con un'area di scogliera ed un'area di pianoro in cui prosperano le palme nane, elemento distintivo della riserva e dell'areale botanico siciliano.


Voto alla città:7
Anno della foto:2022

Alcamo (Italia)

 


Alcamo è un comune italiano di 44 492 abitanti del libero consorzio comunale di Trapani in Sicilia.

Sorge ai piedi del monte Bonifato e fa parte dei comuni del golfo di Castellammare.

Il comune è ricco di architetture religiose, civili e militari di interesse storico e culturale di età compresa tra il XIV secolo e il XXI secolo. Inoltre nel territorio alcamese si trovano diversi siti di interesse archeologico persino di età preistorica.

Tra le aree di interesse naturalistico nell'ambito del territorio alcamese si annoverano le spiagge di Alcamo Marina, la Riserva naturale Bosco di Alcamo (sul Monte Bonifato), il parco suburbano San Francesco e le acque termali segestane.

Le Terme Segestane, le cui acque presentano una temperatura costante di circa 50 °C, sono generate dalla risalita di acque di origine meteorica che si incontrano con le acque del Fiume Caldo. Sorgono a 7 chilometri dal centro abitato, vicino al confine con il territorio del comune di Castellammare del Golfo, che condivide con Alcamo tale attrazione naturalistica. Secondo i racconti di Diodoro Siculo, furono create dalle ninfe per favorire il riposo di Eracle durante il suo viaggio da Piloro ad Erice.


Voto alla città:6
Anno della foto:2022

Monteroni D'Arbia (Italia)

 


Monteroni d'Arbia è un comune italiano di 9 008 abitanti della provincia di Siena in Toscana.
Il comune è ricco di architetture religiose e civili ma è famoso in particolare per le creste senesi (colline che essendo utilizzate per l'agricoltura assumono colori diversi).

Il nome del comune deriva da una delle colline che domina il paese, chiamata appunto Monte Roni, e dal fatto che vi scorre il fiume Arbia. Lo studioso di toponomastica storica medievale Gaetano Barbarulo, che ha studiato la forma Tirone/Monterone, presente in gran parte del territorio italiano, fa derivare Monteroni da un composto di monte, derivato dal latino mons, e tirone, esito del latino tardo toro-onis, vocabolo dal significato di "altura". L'apparente duplicazione si spiegherebbe con una perdita di coscienza, in età medievale, del significato originario del vocabolo tirone, che avrebbe acquisito la valenza di nome proprio e si sarebbe così sentita l'esigenza di anteporgli il nome comune "monte".

Il poeta Dante Alighieri nel X canto della Divina Commedia, ricordando la cruenta Battaglia di Montaperti, cita "lo strazio e il grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso".


Voto alla città:6
Anno della foto:2022